Nota 66 - aggiornata al
10 Ottobre 2018
Background
La categoria dei farmaci antinfiammatori
non steroidei (FANS) comprende una varietà di principi attivi differenti
appartenenti a classi chimiche diverse che agiscono mediante inibizione
della cicloossigenasi (COX) dell’acido arachidonico, inibendo cosi la
produzione di prostaglandine (PG) e trombossani.
I principali effetti farmacologici dei
FANS sono rappresentati dall’azione analgesica, antiinfiammatoria, e
antipiretica. Per tali caratteristiche essi hanno ruoli consolidati
nella gestione del dolore negli stati artritici, nel dolore neoplastico
e negli attacchi acuti di gotta.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) ha da tempo proposto una scala di valutazione del dolore, in prima
istanza di tipo oncologico, e successivamente adottata anche come
linea-guida per il trattamento del dolore muscoloscheletrico, precisando
che le modalità di somministrazione e la potenza dei farmaci prescelti
devono essere commisurati alla intensità del dolore misurato o previsto,
proponendo una Scala Analgesica. Questa scala consta di tre livelli a
seconda della valutazione effettuata dal paziente mediante una scala
visuo-analogica (VAS - sulla quale viene chiesto di quantificare
l’intensità del dolore percepito esprimendo un punteggio da 0 a 10, dove
0=nessun dolore, 10=dolore insopportabile):
Evidenze disponibili
Efficacia
FANS in monoterapia
Le differenze
nell’attività antinfiammatoria dei vari FANS sono modeste, ma vi possono
essere considerevoli diversità nella risposta individuale del
paziente. Secondo il British National Formulary il 60% circa dei
pazienti è sensibile a ogni tipo di FANS; dei restanti, alcuni che
non rispondono a un farmaco possono trovare giovamento con un altro.
Un effetto
analgesico si ottiene in genere in una settimana, mentre per un
effetto antinfiammatorio completo (anche dal punto di vista clinico)
servono spesso anche tre settimane. Se trascorso questo tempo non
vi sono risultati, è bene tentare con un altro farmaco.
FANS in combinazione fissa con altri
analgesici
Nella gestione clinica del dolore
moderato-severo può essere difficile ottenere un controllo effettivo del
dolore stesso usando un solo farmaco (monoterapia). La maggior parte
degli analgesici presentano, infatti, limitazioni del loro dosaggio
massimo, sia per il raggiungimento di un plateau di efficacia, che per
problemi di tollerabilità. Inoltre in molti casi il dolore trova
un’origine multifattoriale e ciò contribuisce a limitare l’efficacia
della monoterapia. L’utilizzo di analgesici diversi in combinazione
(analgesia multimodale) consente di aumentare l’efficacia in ragione di
effetti additivi o sinergici, senza aumento delle dosi dei singoli
farmaci e con riduzione
degli effetti collaterali correlati alla
dose [ Savarese
2017; Elvir-Lazo 2010; Hartrick 2004; Kehlet 1993; Kehlet 2002; Skinner
2004; Varrassi 2017].
Tale strategia è attualmente raccomandata dalle principali linee-guide
relative al trattamento del dolore acuto perioperatorio [American
Society of Anesthesiologists 2012; Chou et al 2016].
La combinazione a
dose fissa a base di ibuprofene/codeina viene ammessa alla
rimborsabilità limitatamente al trattamento di breve durata del dolore
acuto di entità moderata nei soggetti in cui il sintomo non sia
adeguatamente controllato con altri antidolorifici assunti
singolarmente.
La combinazione ibuprofene/codeina è
indicata nel trattamento sintomatico del dolore da lieve a moderato
negli adulti se non adeguatamente alleviato dagli altri antidolorifici
quali paracetamolo o ibuprofene. Il dosaggio autorizzato nella
popolazione adulta è di 1 compressa ogni 4-6 ore, con una dose massima
giornaliera di 6 compresse (2.400 mg ibuprofene/180 mg codeina fosfato
emidrato) nelle 24 ore. Gli effetti indesiderati possono essere
minimizzati con l'uso della dose minima efficace per la durata di
trattamento più breve possibile necessaria per controllare i sintomi.
L’efficacia e la sicurezza dell’associazione dell’associazione
ibuprofene/codeina sono state adeguatamente indagate in studi clinici,
utilizzando molteplici posologie, durate di trattamento e comparatori, e
sono state dimostrate dai risultati di studi clinici pubblicati relativi
a vari stati dolorosi, quali gli stati artrosici, il dolore dentale, e
il dolore post-operatorio. Una revisione sistematica della letteratura
effettuata dal gruppo Cochrane, ha confermato l’ efficacia analgesica
della combinazione, in grado di ridurre il dolore post-operatorio
massimo percepito in modo significativo sia rispetto al placebo (64% vs
18%; NNT 2.2; 95% CI 1.8-2.6) sia rispetto a ibuprofene da solo (69% vs
55%) [Derry 2015].
Sicurezza
La differenza
principale tra i diversi FANS risiede nell’incidenza e nel tipo di
effetti indesiderati. Prima di intraprendere la terapia il medico
dovrebbe valutare i benefici e i possibili effetti collaterali. La
differenza di attività dei vari FANS riflette la selettività
nell’inibizione dei diversi tipi di ciclossigenasi; l’inibizione
selettiva della ciclossigenasi 2 può migliorare la tollerabilità
gastrica, ma molti altri fattori influiscono sulla tollerabilità
gastrointestinale e questi, e altri effetti indersiderati,
dovrebbero essere valutati nella scelta di un dato FANS.
Al momento della
loro immissione in commercio, i COXIB venivano indicati come
antinfiammatori privi di rischio gastrointestinale. In realtà, la
revisione degli studi di registrazione (come il CLASS e il VIGOR) e
successivi studi pubblicati hanno dimostrato che la gastrolesività
era solo lievemente diminuita rispetto ai FANS non selettivi, ed è
emerso un aumento di rischio cardiovascolare. Studi sia
randomizzati sia osservazionali, nonché numerose metanalisi, o revisioni
sistematiche, hanno nel tempo confermato la potenziale tossicità
cardiovascolare dei COXIB. Ciò ha
significato per alcuni di essi il ritiro dal commercio (rofecoxib,
valdecoxib) o la revisione del profilo di rischio (lumiracoxib, poi
ritirato per epatotossicità) insieme all’interruzione di importanti
studi clinici in corso (celecoxib). Il
dibattito in merito al profilo di sicurezza dei COXIB è tuttavia rimasto
al centro della letteratura scientifica di settore [Coxib
and traditional NSAID Trialists’ Collaboration 2013; Bally 2017; Beales
2017; Chan 2017;
Gunter 2017; Mukherjee 2017]
e recentemente sono stati portati a termine due grossi studi clinici
randomizzati con l’obiettivo di valutare la sicurezza dei COXIB rispetto
ai FANS tradizionali (studi PRECISION e SCOT) [Nissen
2016; MacDonald 2017]
in termini di endpoint cardiovascolari. In particolare, lo studio
PRECISION [Nissen 2016]
era uno studio di non-inferiorità, randomizzato, multicentrico, in
doppio cieco che arruolava pazienti ad aumentato rischio
cardiovascolare, affetti da artrite reumatoide e da osteoartrite. I
pazienti (n=24.081) sono stati randomizzati al trattamento con celecoxib
(100 mg due volte al dì), ibuprofene (600 mg tre volte al dì) o
naprossene (375 mg due volte al dì), tutti controllati versus placebo.
Nella popolazione
intention-to-treat l’endpoint
primario
(rappresentato dalla prima comparsa di un evento avverso tra quelli
contemplati dai criteri dell’Antiplatelet
Trialists Collaboration
(APTC), quali decesso per cause cardiovascolari,
decesso per emorragia, infarto miocardico non fatale,
stroke
non fatale) si è verificato in 188 pazienti del
gruppo celecoxib (2,3%), in 201 del gruppo naprossene (2,5%) e in 218
del gruppo ibuprofene (2,7%), documentando la non inferiorità del
celecoxib sia rispetto al naprossene che rispetto a ibuprofene. Tale
effetto è stato confermato nei due sottogruppi di soggetti con artrite
reumatoide e con osteoartrite [Solomon
2018]. Il
trattamento con celecoxib ha inoltre prodotto dei tassi di eventi
indesiderati gastro-intestinali inferiori rispetto ad entrambi i
FANS di confronto e una percentuale di
gravi eventi avversi renali inferiore rispetto a quelli prodotti da
ibuprofene. I dati relativi alla sicurezza gastrointestinale sono stati
recentemente confermati in una successiva analisi secondaria dello
studio [ Yeomans 2018].
Lo studio SCOT (Standard care vs Celecoxib Outcome Trial) è uno studio
randomizzato, controllato, di noninferiorità, in cui soggetti di età >
60 anni, con osteoartrite ma con basso rischio cardiovascolare, venivano
randomizzati allo switch con celecoxib o alla prosecuzione dei FANS
tradizionali in atto al momento dell’arruolamento [MacDonald
2017]. L’endpoint
primario era rappresentato dalla
combinazione di
infarto miocardico non fatale, ictus non fatale e mortalità
cardiovascolare. Dopo un periodo mediano di 3 anni di follow-up, nei
7297 soggetti randomizzati, nell’analisi
intention-to-treat,
il tasso di eventi cardiovascolari era simile per celecoxib (1.14 per
100 patient-years) e per i FANS tradizionali (1.10 per 100 patient-years)
(HR =1.04, 95% CI, 0.81-1.33; P=0.75). Nell’interpretazione dei dati di
entrambi questi trial permangono tuttavia importanti criticità
metodologiche che rendono difficilmente valutabile il reale profilo di
sicurezza relativo dei differenti farmaci in studio [FitzGerald
2017; Grosser 2017; Pepine
2017].
Alla luce dei
dubbi sul profilo di sicurezza cardiovascolare, gli inibitori
selettivi della ciclossigenasi 2 dovrebbero essere preferiti ai FANS non
selettivi solo se vi è un’indicazione specifica (per esempio in caso di
rischio molto elevato di ulcera, perforazione o sanguinamento
gastrointestinale) e comunque soltanto dopo un’attenta valutazione del
rischio cardiovascolare. A dosi elevate e nel trattamento a lungo
termine, i FANS non selettivi potrebbero comportare un lieve aumento del
rischio di eventi trombotici (come infarto miocardico e ictus). Il
diclofenac e l’etoricoxib aumentano il rischio trombotico, mentre il
naprossene è associato a un rischio inferiore. Dosi elevate di
ibuprofene (2,4 g al giorno) possono determinare un lieve aumento di
rischi trombotici, mentre dosi basse del farmaco (1,2 g al giorno o
meno) non aumentano il rischio di infarto miocardico. Le diverse
raccomandazioni emanate a tal proposito dalle agenzie regolatorie, quali
EMEA e FDA, possono sinteticamente riassumersi nella raccomandazione
generale di utilizzare i FANS o gli inibitori selettivi della
ciclossigenasi 2, nel trattamento sintomatico, alla dose minima efficace
e per il periodo più breve possibile; si raccomanda, inoltre, nel caso
di trattamento a lungo termine, di considerarne periodicamente la
necessità. Recenti studi suggeriscono che l’uso dei FANS (soprattutto ad
alte dosi) e nel trattamento a lungo termine può essere associato a un
piccolo aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi. Uno studio
evidenzia che anche l’uso a breve termine (meno di una settimana) dei
FANS può essere associato a un aumentato rischio di morte e di infarto
miocardico (IM) ricorrente in pazienti con pregresso IM. Un altro
studio suggerisce che l’uso dei FANS può essere associato a un aumentato
rischio di fibrillazione atriale o di flutter atriale.
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