Ultima della nota con
determinazione Determinazione AIFA n.589 del 14 Maggio 2015 pubblicata in G.U. n.115 del 20/05/15
Background
Il trattamento dell'osteoporosi deve essere finalizzato alla
riduzione del rischio di frattura (4). I provvedimenti non farmacologici
(adeguato apporto di calcio e vitamina D, attività fisica) o la
eliminazione di fattori di rischio modificabili (fumo, rischi
ambientali di cadute) non hanno controindicazioni e possono quindi
essere raccomandati a chiunque.
Prima di avviare un
trattamento farmacologico dell'osteoporosi vanno inoltre praticati
gli accertamenti appropriati di diagnostica differenziale (4) ed
escluse eventuali forme secondarie, che potrebbero beneficiare della
sola rimozione della causa primitiva.
L'utilizzo di farmaci è
sempre associato a potenziali rischi per cui il loro utilizzo deve
essere riservato ai pazienti a rischio più elevato di frattura, che
sono poi gli unici per i quali esiste una adeguata documentazione di
efficacia. L'utilizzo di farmaci è anche condizionato dal rapporto
tra vantaggi e svantaggi la cui stima individuale è spesso complessa
e deve tener conto di aspetti di farmaco-economia.
La nota 79 prevede il trattamento farmacologico dell'osteoporosi a
carico del SSN per pazienti con rischio di frattura sufficientemente
elevato da rendere il Number Needed to Treat per prevenire un evento fratturativo ragionevolmente accettabile e giustificare gli inevitabili rischi connessi a trattamenti di lungo termine.
La valutazione del rischio di frattura e quindi la definizione di una soglia di intervento sono complicate dall’interagire di più fattori di rischio per frattura, oltre che dal diverso profilo di efficacia, di aderenza e di sicurezza ed infine dal diverso costo dei farmaci disponibili.
Va innanzitutto sottolineato che l'efficacia anti- fratturativa di tutti i prodotti in nota è stata prevalentemente dimostrata in pazienti con una storia pregressa di frattura, soprattutto se vertebrale o femorale, e/o riduzione della densità ossea valutata mediante DEXA (studi FIT, VERT, BONE e SOTI, FREEDOM, FPT). Per tali motivi appare prima di tutto giustificato il trattamento in
prevenzione secondaria di soggetti con pregresse fratture vertebrali o femorali e soggetti con fratture non vertebrali o femorali con dimostrata riduzione della densità ossea. All’interno di questa categoria risultano a rischio estremamente alto soggetti con fratture multiple, soggetti in cui la frattura si associa a una riduzione marcata della densità ossea o a terapia cortisonica, o soggetti con nuove fratture vertebrali o femorali dopo un congruo periodo di terapia con altri farmaci. Ai fini dell’applicazione della nota la diagnosi di frattura vertebrale si basa sul criterio di Genant (riduzione delle altezze vertebrali di almeno il 20%).
In prevenzione primaria, cioè prima del manifestarsi di una complicanza fratturativa osteoporotica nelle donne post-menopausali e nei maschi di età ≥50 anni la definizione di una soglia di intervento è complicata dall’interazione di più fattori di rischio, non solo densitometrici, oltre che dalla minor documentazione di efficacia dei farmaci disponibili. E’ opportuno che tutti questi fattori siano accuratamente valutati prima di intraprendere o meno un trattamento. Vi sono anche fattori di rischio (fumo, abuso di alcool) che, in quanto modificabili, sono tuttavia esclusi dal calcolo del rischio ai fini della prescrivibilità di farmaci a carico del SSN. Dall’analisi di studi epidemiologici di grandi dimensioni è stato possibile sviluppare algoritmi matematici ed informatici per la stima del rischio delle principali fratture da fragilità (vertebre, femore, omero, polso) nei successivi 10 anni, basata sulla valutazione densitometrica in combinazione con i fattori di rischio di frattura meglio conosciuti (es. FRAX®). Uno strumento analogo chiamato DeFRA, derivato dal FRAX® ma che ne supera alcuni limiti intrinseci e consente una considerazione più accurata dei fattori di rischio, è stato sviluppato in Italia dalla Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie Metaboliche dello Scheletro (SIOMMMS) e dalla Società Italiana di Reumatologia (SIR) (5) In attesa di una verifica dell’applicabilità nella pratica clinica di 6 di 12
tali algoritmi matematici informatizzati, una ragionevole semplificazione è la loro espressione con diagrammi di flusso, che prevedano la valutazione integrata ed inequivocabile dei maggiori fattori di rischio per frattura (allegato A). Il fattore densitometrico è stato semplificato mediante il ricorso a due soglie densitometriche DXA a livello di colonna o di femore, con rischio paragonabile a quello dei soggetti con pregresse fratture: T score ≤-4.0 in assenza di altri fattori di rischio o ≤-3.0 se associato ad ulteriori importanti fattori di rischio quali familiarità per fratture vertebrali o femorali e presenza di comorbilità dimostratesi associate di per sé ad un aumento del rischio di frattura (artrite reumatoide e altre connettiviti, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva, malattie infiammatorie croniche intestinali, AIDS, Parkinson, sclerosi multipla, grave disabilità motoria) (6,7). Si ricorda, al fine di evitarne un uso inappropriato, che le indicazioni all’esecuzione della densitometria sono limitate e definite dalle linee guida per la diagnosi, prevenzione e terapia dell’Osteoporosi (4) e dai Livelli Essenziali di Assistenza. Una condizione di rischio di frattura elevato è stata documentata anche per i pazienti in trattamento cortisonico cronico, indipendentemente dalla condizione densitometrica. La documentazione di efficacia nell’osteoporosi cortisonica per alcuni farmaci giustifica pertanto l’estensione della Nota 79 a donne postmenopausali e uomini di oltre 50 anni in trattamento con dosi medio-elevate di corticosteroidi. Analogamente, le terapie con inibitori dell’aromatasi utilizzate per prevenire le recidive di carcinoma della mammella o la deprivazione androgenica nel trattamento del carcinoma della prostata avanzato, modificando un assetto ormonale fondamentale per il controllo del rimodellamento osseo, accelerano la perdita ossea e aumentano il rischio di frattura. Vari trial randomizzati hanno dimostrato che i bisfosfonati e il denosumab sono in grado di prevenire la perdita ossea indotta da queste terapie e potrebbero avere anche un ruolo adiuvante (8).
Evidenze disponibili di efficacia dei farmaci
Va ricordato che in soggetti anziani, in particolare istituzionalizzati, per la prevenzione delle fratture di femore sono disponibili documentazioni di efficacia con la sola correzione dell’apporto di calcio e vitamina D.
Per tutti i farmaci della Nota 79 è stata documentata in donne osteoporotiche in postmenopausa, rispetto al solo calcio e vitamina D, l’efficacia nel ridurre il rischio di fratture vertebrali e, anche se per alcuni farmaci con minore evidenza, quello di fratture non vertebrali (alendronato, risedronato, zoledronato, denosumab, teriparatide, ranelato di stronzio) (9-11). La riduzione del rischio relativo di fratture vertebrali è compresa tra 30 e 70%, con un numero di donne da trattare per 3 anni per evitare una frattura vertebrale (Number Needed to Treat, NNT) fra 10 e 20 tra i soggetti a più elevato rischio. In soggetti a minor rischio il NNT a 3 anni è superiore a 200. L’effetto sulle fratture di femore è ben documentato solo per alcuni farmaci (alendronato, risedronato, zoledronato, denosumab).
Un requisito fondamentale perché l’intervento farmacologico sia utile è inoltre un'adeguata aderenza al trattamento.
In considerazione delle attuali evidenze in termini di efficacia, rapporto costo/efficacia (12), aderenza e rischio di effetti avversi dei vari farmaci attualmente disponibili, è possibile suddividerli in prima, seconda e terza scelta a seconda del tipo e della severità della condizione osteoporotica. Anche nell’osteoporosi, come già praticato in altri ambiti appare pertanto possibile ed opportuno 7 di 12
adeguare l’intervento terapeutico al grado di rischio di frattura, nell’ottica di un “treatment-to-target”. Il passaggio dalla prima scelta alla successive richiede la presenza di intolleranza, incapacità di assunzione corretta, effetti collaterali o controindicazioni al farmaco della classe precedente, o, nel caso del teriparatide, la fine del periodo di trattamento massimo consentito. Anche l’occorrenza di una nuova frattura vertebrale o femorale durante trattamento con farmaci della nota da almeno un anno può giustificare il passaggio ad altra categoria terapeutica.
L’alendronato è disponibile in Nota 79 anche in associazione con vitamina D. L’unico studio comparativo condotto con questa associazione in soggetti non vitamina D-carenti, non dimostra alcun vantaggio rispetto alla formulazione standard.
Il denosumab, anticorpo monoclonale anti-RANKL, è un potente inibitore del riassorbimento osseo osteoclastico che ha dimostrato di essere in grado di ridurre il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali in donne in post-menopausa con osteoporosi e di fratture vertebrali in maschi sottoposti a terapia androgeno depletiva.
Nel maschio l’'efficacia terapeutica è stata valutata in trials controllati e randomizzati per alendronato, risedronato, zoledronato, ranelato di stronzio e denosumab, ai quali pertanto si riferisce la nota. Il numero dei pazienti del trials era modesto e non era calcolato per valutare gli effetti del trattamento sulle fratture osteoporotiche. L’efficacia per la prevenzione delle fratture è quindi in parte surrogata dai dati sulla massa ossea.
In soggetti in trattamento cortisonico effetti favorevoli di alcuni bisfosfonati sulla densità minerale ossea sono stati rilevati in più trial randomizzati. L'efficacia per la prevenzione delle fratture vertebrali (ma non delle fratture non vertebrali) è stata dimostrata in trial randomizzati per risedronato e alendronato. In uno studio la terapia con teriparatide si è dimostrata superiore ad alendronato nel ridurre il rischio di frattura in soggetti in terapia cronica con cortisonici.
Particolari avvertenze
Nella decisione di intraprendere o meno un trattamento farmacologico e nella scelta di quest’ultimo va considerato anche il profilo di safety dei vari farmaci attualmente disponibili (13). Alendronato, risedronato, zoledronato e ibandronato appartengono alla classe dei bisfosfonati. Questi farmaci non sono privi di effetti indesiderati. Tra questi il più comune, quando i farmaci sono assunti per os, è la comparsa o accentuazione di esofagite particolarmente in persone con reflusso gastro-esofageo o alterata motilità esofagea o che assumono farmaci anti-infiammatori non steroidei o che sono incapaci di seguire le raccomandazioni del foglietto illustrativo (compressa presa a digiuno con abbondante acqua, rimanendo in posizione eretta o seduta per almeno trenta minuti). Questo effetto collaterale è apparentemente meno frequente con le formulazioni intermittenti (settimanale o mensile). Anche se raramente è stato inoltre riportato con l’uso dei bisfosfonati un quadro clinico caratterizzato da dolore severo, talora disabilitante, a livello osseo, articolare o muscolare. Tale sintomatologia differisce dalla sindrome acuta simil-influenzale (reazione di fase acuta) caratterizzata da febbre, raffreddore, dolore osseo, artralgia e mialgia che comunemente si osserva in seguito alle prime somministrazioni endovenose degli aminobisfosfonati.
I bisfosfonati sono controindicati nella grave insufficienza renale (clearance creatinina < 30 ml/min). Nei pazienti ad elevato rischio di frattura affetti da questa patologia può essere valutato l’impiego del denosumab, dopo aver escluso disordini secondari del metabolismo minerale ed 8 di 12
osseo, ed in particolare una condizione di osso adinamico, e considerando che i dati relativi all’efficacia ed alla sicurezza sono attualmente limitati. Si ricorda inoltre che in questi pazienti, oltre ad essere raccomandata una supplementazione con vitamina D3, può essere indicato il ricorso anche ai metaboliti 1-alfa-idrossilati della vitamina D (1). La terapia con bisfosfonati o con denosumab, anche se raramente, è stata associata alla comparsa di osteonecrosi della mandibola/mascella, pare conseguente ad un’iniziale osteomielite. Si raccomandano a tutti i pazienti in trattamento con bisfosfonati o denosumab una rigida ed attenta igiene orale ed un’adeguata profilassi antibiotica in caso di interventi dentari cruenti (estrazioni, impianti, ecc). Se necessari, è inoltre preferibile effettuare interventi di igiene dentaria (granulomi, infezioni, ecc) prima di avviare una terapia con bisfosfonati o denosumab.
Con l’uso, specie se prolungato, di bisfosfonati o con quello di denosumab sono state segnalate raramente fratture del femore in sedi atipiche (sottotrocanteriche o diafisarie). Si verificano spontaneamente o dopo un trauma minimo e alcuni pazienti manifestano dolore alla coscia o all’inguine, spesso associato a evidenze di diagnostica per immagini di fratture da stress, settimane o mesi prima del verificarsi di una frattura femorale completa. Sono spesso bilaterali e pertanto deve essere esaminato anche il femore controlaterale. Durante il trattamento i pazienti devono essere informati circa la possibilità di questi sintomi ed invitati a segnalarli. E’ stata talvolta riportata una difficile guarigione di queste fratture. Il bilancio complessivo dei benefici e dei rischi di questi farmaci nelle indicazioni terapeutiche autorizzate rimane comunque nettamente favorevole. Nei pazienti con sospetta frattura atipica femorale si deve prendere in considerazione l’interruzione della terapia sulla base di una valutazione individuale dei benefici e dei rischi sul singolo paziente.
La durata ottimale del trattamento con bisfosfonati per l’osteoporosi non è stata ancora stabilita. La necessità di un trattamento continuativo deve essere rivalutata periodicamente in ogni singolo paziente in funzione dei benefici e rischi potenziali della terapia con bisfosfonati, in particolare dopo 5 o più anni d’uso.
Con l’uso di potenti inibitori del riassorbimento osseo come il denosumab sono stati descritti casi anche gravi di ipocalcemia. Si ribadisce l’importanza che tutti i pazienti candidati ad un trattamento per l’osteoporosi, ed in particolare con questo farmaco, abbiano un adeguato apporto di calcio e siano preventivamente supplementati con vitamina D (1), da garantirsi anche durante il trattamento. I pazienti trattati con denosumab possono inoltre sviluppare infezioni cutanee (principalmente celluliti), tali da richiedere talora l'ospedalizzazione. Per l’esperienza clinica ancora limitata appare opportuno che l’impiego del denosumab venga riservato ai casi con rischio elevato di frattura e nei quali non sia praticabile la terapia con bisfosfonati.
L’uso dei modulatori selettivi dei recettori estrogenici (SERM: raloxifene, basedoxifene) si è associato ad un significativo aumento del rischio di ictus e trombo-embolismo venoso (TEV).
La terapia con ranelato di stronzio si associa al rischio di reazioni allergiche anche gravi (rash farmacologico con eosinofilia e sintomi sistemici o sindrome DRESS, sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi epidermica tossica), ad un incremento del rischio di trombo-embolismo venoso e a complicanze cardiovascolari (CV), tra cui infarto del miocardio. Il ranelato di stronzio va pertanto riservato ai pazienti affetti da osteoporosi severa per i quali non esistano alternative terapeutiche. E’ controindicato nei pazienti con TEV in corso o pregresso od in condizioni di immobilizzazione 9 di 12
temporanea o permanente e va usato con cautela nei pazienti di età superiore agli 80 anni a rischio di TEV. E’ controindicato nei pazienti affetti o con anamnesi di cardiopatia ischemica, arteriopatia periferica, patologie cerebrovascolari, ipertensione arteriosa incontrollata. Un’attenta valutazione del bilancio rischi/benefici va comunque fatta anche in altre condizioni di rischio CV medio-alto (es. ipertensione in trattamento, dislipidemia, diabete, fumo, insufficienza renale cronica). Ciò giustifica la necessità di limitare la prescrivibilità a specialistici e un attento monitoraggio anche CV, generalmente ogni 6-12 mesi.
Il trattamento cronico con teriparatide provoca in alcuni modelli animali la comparsa di osteosarcomi. Anche se i dati di farmacovigilanza finora disponibili sembrano escludere tale possibilità nell’uomo, ciò giustifica sia la limitata durata dei trattamenti sia la necessità di limitare la prescrivibilità a centri specialistici particolarmente qualificati, anche in considerazione della severità dell’osteoporosi nei pazienti ai quali questo farmaco è destinato.
Adachi JD et al.
Two-year effects of
alendronate on bone
mineral density and
fracture in patients on
glucocorticoids.
Arthritis and Rheum
2001;44:202-11.
Bibliografia
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